S.O.S. app contacalorie!

In fase di anamnesi, chiedo quasi sempre ai miei pazienti se utilizzano, e da quanto tempo, applicazioni conta calorie.  Alcuni mi rispondono un “no” secco, sorpresi anche di questa domanda, altri me ne confermano l’utilizzo giornaliero giustificandolo con un “così almeno mi controllo un minimo”. Apparentemente è vero, queste applicazioni nascono con l’idea di aumentare la consapevolezza di quello che si mangia. Tutto questo è coerente con l’epoca odierna della nomofobia, ovvero la paura di restare senza cellulare. In questo panorama, il nostro caro cellulare ci accompagna in vari aspetti della quotidianità, anche duranti i nostri pasti. Tutto questo ‘’contare’’ può indurre a far divenire l’atto semplice (e mi piace ricordare PIACEVOLE) del mangiare, un atto di iper-controllo forzato di ciò che introduciamo nel nostro corpo.

Queste applicazioni, a partire da parametri come peso, altezza, genere, obiettivo, impongono il limite massimo di calorie giornaliere da introdurre e la suddivisione dei macronutrienti (ovvero quanti grammi e in che percentuale  dovremmo consumare carboidrati, grassi e proteine). L’applicazione dispone di un database di alimenti che vengono pescati ogni volta che si compone il pasto e che restituiscono i famosi numeri entro i quali limitarsi.  Inoltre, per “tamponare” le calorie ingerite si inserisce l’attività fisica svolta che viene convertita in calorie bruciate.

Il problema sorge nel momento in cui per restare all’interno di questi grafici a torta e numeri forniti dall’applicazione, l’utente si sente in obbligo di aggiungere attività fisica extra per bruciare ulteriormente, oppure si sente invece in obbligo di raggiungere la quota di macronutrienti seppur non abbia più fame. Ed ecco che si scade in strani comportamenti quali evitare di mangiare se si ha fame, perché l’applicazione ci impone uno “stai mangiando troppo” oppure mangiare anche quando non si ha fame, perché altrimenti non si raggiungono i numeri giornalieri imposti.

Bisogna sempre ricordare che nel concetto di educazione alimentare, non rientra sempre e solo il concetto di quantità, ma soprattutto di qualità degli alimenti scelti. Sostituire un pasto con due kinder bueno perché rientra nei macronutrienti e perché nel totale giornaliero della nostra applicazione non disturba, ha poco a vedere con il concetto di sana alimentazione.

I famosi database di queste app spesso contengono errori e sono incompleti. Inoltre, considerare solo i famosi macronutrienti ci fa dimenticare del piccolo ma essenziale, ovvero dei micronutrienti. Una dieta monotona con albume, fesa di tacchino e gallette di riso potrebbe essere perfetta in termini di macronutrienti, ma sicuramente carente in termini di fibra o comunque molto ricca in sale.

Ci sono correlazioni tra il cibo che introduciamo e l’effetto sul nostro cervello, in particolare sulla parte adibita alla percezione del piacere o della dipendenza. Anche le nostre linee guida traducono il cibo in nutrienti, ma non inducono a ragionare solo in termini di grammi di carboidrati, proteine e grassi, bensì in termini di alimenti e porzioni. Il cibo è anche vettore di diverse molecole che vengono trasformate nel nostro intelligente organismo in informazioni di felicità, frustrazione o insoddisfazione.

L’alimentazione non deve essere basata su conteggi sconsiderati, ossessione, calcoli continui e nemmeno conoscenza precisa di ogni singola etichetta alimentare. Per il famoso “darsi una regolata”, delegate il compito di calcolo dei vostri fabbisogni individuali a un professionista che sappia e possa farlo per voi e per la vostra applicazione.

Impariamo a comporre un piatto bilanciato e una giornata senza schemi rigidi e drammi, perché dietro ogni singolo pasto oltre alle precise e rigide calorie introdotte, bisognerebbe sempre ritrovare gratificazione, nutrimento e anche un pizzico di convivialità.

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