
Ci sono libri che non si leggono soltanto: si vivono.
Nella mia vita ho avuto la fortuna di incrociare i miei passi con quelli di Gianluca Gotto e la sua compagna Claudia di “Mangia Vivi Viaggia” https://www.mangiaviviviaggia.com/ .
Ogni libro di Gianluca mi ha lasciato un segno, ma devo ammettere che Verrà l’alba, starai bene è senza dubbio il mio preferito.
Questo libro ha avuto la straordinaria capacità di farmi ritrovare in più personaggi — che non svelo per non togliere a chi lo leggerà la bellezza della scoperta — e mi ha toccata in profondità come donna, madre e professionista della nutrizione.
È raro che io rilegga un libro due volte, ed è per questo che lo sento speciale, e che desidero consigliarlo.
La protagonista, Veronica, non si getta a capofitto nel lavoro per sete di fama o successo. Lo fa per non affrontare un dolore passato, una ferita che non ha mai trovato spazio per essere davvero ascoltata.
Così riempie le sue giornate fino all’orlo, impone a sé stessa orari impossibili, e reprime emozioni che però il corpo – come sempre accade – cerca in tutti i modi di far emergere, fino a presentarle il conto.
Il corpo, troppo spesso, non si ribella solo attraverso la fame o la stanchezza, ma anche e soprattutto tramite comportamenti disfunzionali. Nel romanzo, Veronica cerca di “tenere tutto sotto controllo” attraverso strumenti che oggi sono parte della vita quotidiana di tanti: app contacalorie, smartwatch, allenamenti estenuanti.
Sono dinamiche che sento raccontare molto spesso da chi si rivolge a me:
– “A volte mi accorgo che sono passate ore senza aver mangiato nulla. Non perché non avessi fame, ma perché a lavoro non c’era proprio tempo. Quando arriva la sera però mangio tutto quello che mi capita a tiro.”
– “Non c’è giorno in cui non controlli quante ore ho dormito, quante calorie ho bruciato, quanti passi ho fatto. Mi serve per darmi una regolata a fine giornata.”
– “Se salto un allenamento, mi sento in colpa.”
– “Non sto più comprando pasta e pane perché ho avuto tante cene fuori.”
– “Siccome ho sgarrato, lunedì digiuno.”
E così, a poco a poco, ogni numero diventa una piccola condanna o una momentanea assoluzione.
Il movimento, invece di essere un atto liberatorio, diventa una punizione. Lo sport non più libertà, ma obbligo.
Il cibo, invece che nutrimento, si riduce a una cifra su uno schermo, consumato distrattamente, senza piacere.
Ci si focalizza sempre su cosa e quanto si mangia, ma sempre meno sul come.
Un passaggio del libro racconta con chiarezza una situazione che in tanti conoscono:
“Era andata a prendere una bowl di riso nel minimarket sotto all’ufficio, era tornata alla scrivania e aveva mangiato lì, seduta davanti allo schermo, leggendo email senza riuscire veramente a connettere le frasi. I pensieri la tormentavano. Era stanca, desolata, piena di ansia. Aveva consumato il suo pasto senza nemmeno accorgersene, poi aveva preso un caffè doppio ed era tornata a lavorare. Doveva stilare il report finale dell’evento. Le parole non le uscivano. Aveva mal di testa, ma anche nausea crescente: aveva mangiato di fretta, senza masticare a dovere, le era rimasto tutto sullo stomaco. Era andata in bagno, interpretando male un movimento intestinale.”

Questo ultimo riferimento del libro rappresenta un ottimo spunto di riflessione. Ed è proprio qui che condivido sempre con i miei pazienti un consiglio fondamentale:
Prenditi il tempo che meriti per mangiare. Non consumare il pasto di fretta, in piedi, mentre cammini o con la mente altrove (soprattutto a lavoro)— davanti al computer, scrollando il telefono o distratti da mille pensieri. Il pasto è un momento sacro: un’occasione per nutrire non solo il corpo, ma anche la mente.
La digestione comincia in bocca. Masticare con calma non è solo una questione di salute, ma un atto di amore verso se stessi: favorisce l’assimilazione dei nutrienti e riduce gonfiori, bruciori o malesseri intestinali tipici di pasti consumati di corsa. Spesso ci concentriamo su cosa mangiamo, dimenticando che il come è altrettanto importante. Assapora ogni boccone, onora la tua fame: non siamo bidoni da riempire, ma corpi e menti da nutrire.
Mangiare lentamente permette allo stomaco di inviare alla mente il messaggio giusto: “sono sazio, basta cibo!”. È un piccolo, prezioso rituale che ci riconnette al nostro corpo e alla nostra salute — qualcosa che rischiamo di perdere se mangiamo in fretta. Trasforma il pasto in un momento di consapevolezza e cura.
Nel mondo occidentale, disturbi come emicrania, insonnia, reflusso, gonfiori, bruciori, emorroidi e stitichezza sono sempre più frequenti — e troppo spesso li consideriamo “normali”. In realtà sono messaggi preziosi che il corpo ci invia, segnali di un linguaggio che abbiamo smesso di comprendere: come una scatola chiusa di cui abbiamo perso la chiave dell’ascolto.
Il libro lo ricorda con parole semplici ma potenti:
“Non hai bisogno di essere felice per sopravvivere. Hai bisogno di cibo, acqua, riposo, riparo. Non serve altro. Essere felice non è necessario. Però è così importante che spesso, nel tentativo di essere felici, dimentichiamo di mangiare, bere, dormire, stare al sicuro.”

E qui aggiungo una mia riflessione.
Spesso mi sento dire: “Ma io non ho tempo.”
Ed è vero: viviamo in un mondo che corre così in fretta, rincorrendo la cima della montagna così lontana, da non renderci conto che siamo rimasti senza fiato, senza scarpe, doloranti e senza bussola. E, ancor più grave, abbiamo perso interesse e piacere per il panorama prima della vetta.
Tante persone arrivano da me non perché “non sanno cosa mangiare”, ma perché per troppo tempo hanno represso bisogni fondamentali e ignorato i segnali del corpo.
Veronica raggiunge un punto di svolta, sospinta dallo stress e dalle ossessioni fino all’orlo di una crisi autodistruttiva. Il suo lungo viaggio — reale e interiore — la condurrà a risposte preziose, compagni di strada e la forza di chiedere aiuto, riscrivendo il suo rapporto con il cibo: da strumento di controllo a fonte di nutrimento.
C’è un punto preciso del libro che mi ha toccata molto: una persona che diventerà di riferimento per la protagonista la invita a dire “merito di stare bene”. Veronica non riesce nemmeno a pronunciare questa frase. Ed è forse lì la svolta, come un pugno in faccia di una verità spesso scomoda: non possiamo correre via dal dolore. Possiamo solo imparare a dargli spazio, ad accoglierlo e a prenderci cura di noi stessi nel processo.
Tutti, prima o poi, ci troviamo a correre senza fiato, convinti che “prima o poi passerà”.
Ma il corpo ci ricorda sempre che non basta sopravvivere: serve vivere.
E vivere significa nutrirsi, riposare, chiedere aiuto, rispettarsi.
Se ti riconosci in questa storia, sappi che non sei sola/o.
Quello che mi piace trasmettere ogni giorno è proprio questo: quando impariamo a mettere noi stessi al primo posto, tutto il resto trova una direzione.
Perché sì, l’alba arriva davvero.
E quando arriva, possiamo finalmente star bene.
